di DANILO SANGUINETI
I giri di valzer oltre che in politica vengono utili in economia perché portano a risultati inattesi, benefici e di lunga durata. Lo stigma di un paese poco affidabile e dalla diplomazia ballerina trova riscatto nel possedere una fiorente industria ballerina, nel senso che una fetta importante dei ricavi nel settore intrattenimento arriva dalle aziende che si occupano di far danzare gli italiani di ogni età e censo. Per spingerli serve un motore potente e affidabile, una musica riempipista che funzioni a diversi livelli e disparate occasioni, interpretata da professionisti che siano non semplicemente interpreti ma anche entertainer.
A un simile identikit corrisponde un nome noto anche a chi un dancing o una balera non l’ha vista che in fotografia: l’Orchestra Caravel. Un’istituzione della musica leggera (per modo di dire, dato il successo pesantissimo). Da quarant’anni è sulla cresta dell’onda; un veliero che fila leggero nelle acque di un oceano ampio come quello delle sette note, usando come sistema di propulsione il genere ‘italian-liscio’, genere ampio dove il pop si unisce alla world music in un composto legato dal folk e reso saporito da una spruzzata di classica.
Orchestra Caravel è un’impresa di servizi che ha un giro di affari paragonabile a una pmi. Oltretutto siamo in perfetta sintonia con la tanto di moda ‘Silver Economy’: dedicarsi ai bisogni e alle necessità, anche quelle apparentemente non immediate della terza età che sta diventando ahinoi predominante in Liguria.
I fan dei Caravel hanno in questa fascia della popolazione il loro zoccolo duro, ma sarebbe un errore banale pensare che si rivolgano solo agli attempati danzerini, le loro proposte fanno breccia tra i giovani e i disincantati, appassionano i cultori di uno dei pochi generi di musica autenticamente popolare qual è ‘il Liscio’, nato in un crogiuolo continentale due secoli fa e che ha acquisito vitalità e trovato spunti originali in un paese altrimenti pesantemente colonizzato dagli anglosassoni. La colonna sonora della balera è un raro esempio di cultura che arriva dal basso e che piace pure al colto e all’inclita sebbene non vogliano confessarlo.
Nel Dopoguerra il Liscio abbandona le arene romagnole per conquistare prima il Nord e poi farsi conoscere e apprezzare ovunque, in Italia e all’estero. Proprio nel momento di passaggio tra il periodo classico (1945-1980) e quello moderno – caratterizzato da uno stile fusion perché affianca i balli latini (tango, rumba, samba e salsa) ai canonici ritmi (valzer, polka e mazurca) – si forma a Rapallo l’Orchestra Caravel.
È il 1982, al sassofono e voce c’è Luigi Colombini. Che è ancora al suo posto, front man di una classica formazione a sei – batteria, basso, tastiere, fisarmonica, fiati e due cantanti – autore e pure stratega delle scelte e dei programmi del gruppo. Una longevità che rivaleggia con quelle di leggendarie e immarcescibili band del rock. “La differenza è che per me, come i miei compagni, il suonare è una seconda professione, impegnativa ma non esclusiva. Era così 41 anni fa, è così oggi”.
Nel frattempo però il mondo della musica, anche quella popolarissima del Liscio, ha subìto una evoluzione profonda. “Vero ed è altrettanto vero che se siamo ancora qui è perché il gruppo ‘funziona’, piace ed è richiesto. Altrimenti non avrebbe senso”.
Luigi Sax Colombini è l’unico dei fondatori attualmente nella line-up dei Caraval. “Iniziammo a provare prima e esibirci poi a fine 1981. Decidemmo di mettere su una vera e propria impresa dividendoci le quote del marchio con lo scopo di fare spettacoli in tutto il Tigullio e il suo entroterra. Quattro ragazzi di Rapallo e uno di Torino. I fratelli Roberto e Alessandro Viacava di Portofino, Massimo Zerega, il batterista, e Marco Cruciani di Rapallo. Con il passare del tempo gli altri quattro sono usciti, chi per un motivo, chi per l’altro si è ritirato ed io pian piano ho acquisito le quote e sono rimasto da solo a tirare avanti questa avventura”. Che non è finita male. “Noi non lavoriamo per ottenere il successo, noi lavoriamo per dare continuità al progetto, per portare la nostra musica a più gente possibile. E resta un’occupazione alternativa. L’ho sempre visto come l’apertura di una piccola ditta in aggiunta alla principale occupazione. Nel nostro settore chi ce l’ha fatta sono pochissimi ed operavano in altre realtà, molto più grandi ed economicamente remunerative”.
Musicisti abili eppure amatoriali, oppure amatori che sfiorano il professionismo. Anche perché la mole di richieste ricevute e regolarmente soddisfatte è impressionante. Qui non si parla di una decina di feste in estate, si tratta di una orchestra impegnata dodici mesi all’anno. Il leader dei Caravel sul punto concorda: “Negli anni buoni, diciamo negli anni ’90 e l’inizio del 2000, facevamo più di 200 concerti all’anno. Ancora oggi, anche se con una routine meno frenetica, percorriamo in lungo e in largo la nostra regione e poi viaggiamo: Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza. Oggi (11 marzo, ndr) stiamo partendo per Torino, stasera torneremo tardissimo a casa”.
Con un battage pubblicitario scarso, per non dire nullo nell’era nella quale ‘se non sei sui social non esisti’. “Non siamo così retrò (ride, ndr). Abbiamo il nostro sito e la nostra pagina su Facebook e su Instagram. È vero che la fama ce la siamo guadagnata con la costanza. Festa dopo festa, esibizione dopo esibizione. E con il passaparola. All’inizio fu importantissimo ‘fare stagione’ a Cavi di Lavagna, nella discoteca sul mare che oggi si chiama Sol Levante. Fino al 1988 tutte le sere per tutta l’estate. Piazzavamo gli strumenti la prima sera e li portavamo via con l’ultimo concerto, dai primi di giugno a fine settembre”.
Oltre ai Live, pure i dischi. “Abbiamo fatto un sacco di album, roba ballabile che ha incontrato il favore degli amanti del genere”. Colombini parla come suona, niente ghirigori, si va sempre al sodo. Solido e allo stesso tempo efficace. Una possibile spiegazione del perché l’Orchestra Caravel abbia diverse decine di fan che non mancano mai a un loro concerto nella zona, e che ne abbia molti altri che addirittura la seguono ovunque si rechi a suonare. Una specie di ‘Deadhead’ – i devotissimi appassionati dei Grateful Dead – del Liscio. “Credo che lo si debba al fatto che non li abbiamo mai delusi. Loro ci conoscono e noi conosciamo loro, sappiamo che cosa vogliono e cosa funziona, li accontentiamo. Il nostro piccolo segreto è stato ed ancora è quello di arrivare in un posto e ‘informarci’. In un locale, in una piazza o una festa qualunque bisogna cercare di capire cosa vuole quella gente. C’è la serata dove fai un sacco di liscio e poca musica, diciamo, leggera, canzoni che vanno in quel momento. E invece i posti dove fai pochissimo liscio e molta più ‘roba di altro genere’. Questo te lo permette ‘il mestiere’: l’esperienza comporta anche la perdita di tempo per le prove, tante prove, per organizzare tutto, perché devi avere un repertorio vasto, che nel nostro caso, posso permettermi di dirlo, è vastissimo. L’affiatamento, oltre al fatto che siamo sempre in sei, che sanno cosa suonare e cosa attendersi dagli altri cinque, ce lo consente”.
La nuova base dei Caravel è l’Antares di Lavagna. “Ci serve da quartier generale, ci suoniamo spesso ma non sempre perché non vogliamo monopolizzare la scena. Se passa l’idea che suoni perché non ci sono alternative è finita”. Persino il periodo complicato del Covid è stato superato con slancio. “L’estate scorsa è stata buonissima perché la gente aveva voglia di tornare a incontrarsi e divertirsi. Nel periodo invernale si è fatto un po’ più fatica per quanto riguarda il ballo nelle sale. Piano piano stiamo risalendo”. Guai se fosse, altrimenti perché Colombini e i suoi partner sono insostituibili come aggregatori culturali dedicati a una fascia della popolazione sempre più ampia. “Io lo dico sempre, scherzando. Noi forniamo un grandissimo servizio sociale. Non ho problemi che il ballo sia etichettato come ‘passatempo’. Ma è il passatempo più economico, sfido chiunque a dire il contrario. È quello che permette a tante persone con svariati problemi di trovare almeno un sorriso, a non sentirsi isolati o peggio emarginati. Puoi anche arrivare da solo coi tuoi problemi, i pesi che ti porti dietro, due canzoni, due salti e ti senti l’animo più leggero. Questo ambiente è l’unico, almeno secondo me, dove chiunque arriva e trova una parola di cortesia, uno scambio di opinioni”.
Non è un fattore secondario. Una cellula sociale per niente ‘chiusa’, al cospetto una società frammentata in tanti gruppi che non interagiscono, è cosa rara. “Resto con i piedi per terra, non vogliamo passare per dei missionari, alla fine stiamo sempre parlando di musica leggera, non dei massimi sistemi. Però so che la gente vuole questo, serve anche un momento di svago, soprattutto nella terza età, in un ambiente che non richiede nessuna preparazione. Sono contento quando accontento, scusate il gioco di parole, questo tipo di pubblico. Non si mettono steccati, si viene subito inseriti. Li vedo spostarsi assieme a noi, fare gruppo a inizio estate, poi la combriccola man mano si allarga, consolida al suo interno i legami e prendono parte alle varie sagre, nelle piazze”.
Ecco il vero propulsore dell’Orchestra Caravel per restare in pista. Quasi ogni sera la ‘Caravella’ mette la prua su una destinazione differente da quella precedente e approda ad un dancing, una discoteca, un salone, un palazzetto, un’area attrezzata, un campo sportivo, perfino uno spiazzo se il meteo lo permette. Monta gli strumenti, sistema le luci, accende il mixer e parte la musica: di fronte ha una folla di diversamente giovani animati dalla voglia di non arrendersi al tempo che passa. Nati negli anni del Boom, alle prese con lo Sboom odierno, mettono i fiori del loro allegro disincanto nei cannoni delle attuali spietate mode giovanilistiche. Lo ‘Spirito di Woodstock’ spunta da una luccicosa ‘Italian Ballroom’. Oggi i veri hippie sono le volpi argentate.