di ANTONIO GOZZI e GETTO VIARENGO
Le città di Chiavari e Lavagna sono storicamente afflitte da una ‘servitù’ ferroviaria.
Diversamente dalle altre cittadine del Tigullio, Santa Margherita, Rapallo e Sestri Levante, che non sono divise in due dal passaggio della ferrovia, Chiavari e Lavagna vedono il loro territorio spezzato dalla strada ferrata.
Quando poco dopo la metà dell’800 la ferrovia arrivò nel Tigullio centrale la zona a mare, ‘a màina’ come la chiamiamo noi, non era città ma una periferia lontana dal centro abitato, povera e tormentata dalle mareggiate per le scarse protezioni dalla furia delle onde, abitata da poca gente in particolare pescatori e artigiani che vivevano sulla spiaggia a piedi nudi e che con fatica si mettevano le scarpe se dovevano andare in città.
Quando quasi due secoli fa si progettò il tracciato della strada ferrata, per comodità e con poca lungimiranza si decise di farla passare dove i borghi finivano e dove iniziava la periferia marina. Si trattava di aree pianeggianti, prevalentemente libere (tuttalpiù occupate da qualche coltura orticola) che consentivano interventi realizzativi semplici e a basso costo.
Era difficile immaginare a quell’epoca che il ‘fronte mare’ e quella zona delle due città, nel giro di un secolo, sarebbero diventate una delle parti più pregiate del Tigullio per lo sviluppo delle attività turistiche, commerciali e legate alla nautica da diporto.
L’errore lo si comprese solo più tardi, quando fu chiaro a tutti che il diaframma della ferrovia costituiva una barriera quasi insormontabile tra l’urbanizzazione antica della città e i nuovi quartieri a mare, con un danno economico, urbanistico ed estetico incommensurabile.
A quel danno non si è mai posto rimedio, e le due parti distinte degli ambiti cittadini hanno sofferto per lungo tempo di una separatezza quasi insuperabile, scandita dall’impedimento dei ‘passaggi a livello’, barriere di attesa temporanea per consentire il passaggio dei treni, sostituite in tempi più recenti dai ‘sottopassi’ pedonali e carrabili.
La vicenda, esplosa in questi giorni, delle barriere fonoassorbenti progettate dalle Ferrovie dello Stato (Rfi) e riguardanti il territorio di Chiavari (Lavagna per ora non sembra essere coinvolta nel progetto) ha riproposto all’attenzione del grande pubblico il tema di quella che abbiamo chiamato ‘servitù ferroviaria’.
L’intento di Rfi è naturalmente condivisibile nelle finalità e nasce dalla oggettiva situazione di disagio creata dal rumore dei treni che passano in mezzo alla città e all’abitato, ma la soluzione data al problema sembra, ad una prima analisi, di bassa qualità e fortemente impattante. Ciò ha causato la giusta reazione di cittadini e dell’opinione pubblica, preoccupati del terribile impatto di queste barriere anti rumore sui quartieri adiacenti alla ferrovia.
Si ripropone anche in questo caso, ancora una volta, l’esigenza che progetti di questa natura così rilevanti e impattanti per i destini della città vadano analizzati e discussi approfonditamente in quello che i francesi chiamano ‘débat public’.
L’Amministrazione Comunale chiavarese, solerte questa volta nell’appoggiare le giuste istanze dei cittadini e nel richiedere a Rfi il massimo di informazione possibile, non ha fatto altrettanto nel caso del depuratore comprensoriale nell’area di Colmata, realizzazione altrettanto se non più impattante sul futuro della città, rispetto alla quale la cittadinanza non sa nulla e mai è stata informata su temi cruciali come il costo totale, la durata dei lavori, l’impatto delle condutture che arriveranno dall’entroterra, l’impatto sul porto turistico ecc.
Non vogliamo in questa sede entrare sulla vicenda specifica delle barriere antirumore, ma la vogliamo utilizzare per riflettere su cosa Chiavari e Lavagna sarebbero senza la ferrovia che le taglia in due.
È possibile immaginare un futuro nel quale le nostre due città non siano più afflitte da un handicap così grave quale è la ‘servitù ferroviaria’ sopra descritta?
È così folle l’idea di liberare una volta per tutte quella parte di territorio così pregiata delle nostre città dalla strada ferrata e dal passaggio dei treni?
Noi riteniamo che progettare un futuro migliore non sia mai da folli e che per cambiare le cose davvero, rilanciando il ruolo del Tigullio centrale e delle due sue città che ci piacerebbe concepire come un ‘unicum’, la città dell’Entella, occorra avere coraggio e immaginazione.
Genova non solo ha ipotizzato ma progettato e fatto finanziare il tunnel sottomarino che passando all’interno del porto collegherà il quartiere di San Benigno con il quartiere della Foce. Un’opera gigantesca dal costo ingentissimo (si parla di più di 700 milioni di euro) che non ha spaventato il capoluogo e i suoi amministratori. E in particolare il suo Sindaco Bucci che ha avuto e ha il coraggio di pensare in grande.
L’opera genovese è destinata ad alleggerire il traffico che gravita intorno al porto liberando il centro da questa servitù, e probabilmente consentirà o di eliminare il diaframma della sopraelevata o di trasformarla in un giardino e una passeggiata in quota come si è fatto con la High Line a New York.
Perché non incominciare a ragionare in grande anche nel Tigullio, lanciando idee ed ipotesi e in particolare incominciando a lavorare su due ipotesi principali (e su una subordinata) atte a eliminare o ad attenuare la tremenda servitù ferroviaria nel Tigullio Centrale?
- Ipotesi n.1 – Interramento della ferrovia dalla zona del camping di Chiavari fino alle Rocche di Sant’Anna in Comune di Lavagna; negli anni ’70 del secolo scorso l’Amministrazione Comunale di Lavagna, guidata allora dal Sindaco Barbero, aveva elaborato un progetto di massima in tal senso.
- Ipotesi n.2 – Spostamento a monte della sede ferroviaria; già negli anni ’30, sempre del secolo scorso, il grande urbanista Gaetano Moretti che si occupò della pianificazione territoriale della città di Chiavari aveva ipotizzato tale soluzione.
- Ipotesi n.3 – Realizzazione di una copertura sopraelevata per tutto il tratto di cui all’ipotesi n.1 o per parti di esso con un progetto bello esteticamente e capace di trasformare il tetto dello stesso tunnel in una straordinaria passeggiata in quota con vista sul mare ricca di percorsi e servizi.
Le prime due soluzioni sarebbero certamente molto costose ma una parte del costo delle opere potrebbe essere compensata dall’eccezionale valorizzazione delle aree recuperate e liberate dalla vecchia servitù ferroviaria. La terza, quella che abbiamo definito la subordinata, non presenterebbe neanche costi elevatissimi e darebbe comunque alle due città nuovi spazi e servizi oltre a risolvere il problema del rumore.
Perché non lavorare almeno su una fattibilità del sogno?
La grande politica è anche immaginazione e coraggio, e questa sarebbe una straordinaria occasione per il Tigullio per dimostrare che esiste e che pensa al futuro.