di DANILO SANGUINETI
In principio fu il mattarello, dominatore della sfoglia sulla madia bianca di farina emanante sapori che sapeva di aratri, buoi, falci, macine. Scappava l’immaginario – creato dalla lettura dei sussidiari scolastici – verso braccianti infaticabili, mugnai sapienti e massaie operose. L’italianissima pasta (alimentare) non si è arresa allo sfrontato incedere della tecnologia. La contrapposizione tra olio di gomito, sudore della fronte dell’artigiano che inventa forme sempre nuove e sempre saporite e il freddo macchinario che sforna valanghe di standardizzati modelli impacchettati in poco allettanti contenitori è fallace. Basta una semplice constatazione: il cedere il passo della pasta fatta in casa alla produzione seriale non ha affatto segnato la fine del predominio italico, checché cinesi, arabi ed ‘eretici’ vari vadano cianciando. Anzi quando l’ingegno che ancora prospera tra le nostre sponde si coniuga all’innovazione e alla razionalità sforna imprese di ampio successo internazionale, consolida l’eccellenza tricolore senza scadere nella normalizzazione dettata dal turbocapitalismo.
Che si possa produrre pasta, fresca, secca all’uovo anche senza dover mobilitare plotoni di ‘Mamme Ines e Nonne Concette’ lo dimostrano quelli di Italgi che sono creatori al quadrato perché inventano e costruiscono macchine che saranno adoperate per impastare e sfornare pasta a più non posso da ristoranti, negozi gastronomici, pastifici artigianali e industriali. I prodotti che un tempo venivano assemblati con pazienza e impegno nelle cucine, aie e anche laboratori di un singolo cuoco o cuoca sono stati resi disponibili a una vasta platea di intermediatori che a loro volta li veicolano alle masse.
L’unica forma di collettivizzazione che funziona? A Carasco, in via Pontevecchio 96A, la pensano in maniera semplice. “Italgi Srl è oggi un’azienda con respiro internazionale, evolutasi con costanza e senza strappi da una start up ante litteram”. Definizione di Gabriele Marchetti, anni 45, unico oriundo (“vengo da lontano, da Sestri Ponente”, dice strizzando l’occhio) di una impresa levantina doc.
“I miei soci sono tigullini: i due fondatori Vardelli e Montagna, Bisso entrato in un secondo tempo assieme al sottoscritto per occuparsi della fase progettuale”. Nello specifico Italgi si occupa di “produzione di macchine ed impianti per pasta che vengono venduti a ristoranti, gastronomie, panifici e da qualche anno anche pastifici industriali”. Il racconto di come è nata ricorda in maniera impressionante quelle delle leggende della Silicon Valley, là erano microchip, qui erano aggeggi per fare la pasta.
“Venne fondata a Santa Margherita nel 1985 da un gruppo di giovani progettisti uniti da una grande passione per la cucina tradizionale italiana”. In un garage con pochi appassionati al lavoro. “Le basi per il futuro sviluppo c’erano tutte. I vertici dell’azienda hanno sempre avuto una formazione prettamente tecnica, quindi fin dall’inizio è stato naturale indirizzare tutti gli sforzi nello sviluppo di qualità. I primi prodotti sono stati due macchine per pasta di produzione relativamente limitata, venduti soprattutto localmente. A partire dal 1992 Italgi cominciò ad aprire alcuni uffici in altri paesi e ad organizzare una rete distributiva che oggi si è ramificata in tutto il mondo”.
L’entusiasmo e l’impegno di ciascuna delle persone impegnate nell’azienda sono stati decisivi: “Nel 1996 la produzione venne spostata nella zona industriale di Carasco, località Santa Maria. Nel 2010 il trasferimento in un nuovo stabilimento, tuttora in fase di ampliamento, nel cuore di Carasco, in via Pontevecchio”. Qui Italgi fa il suo definitivo salto di qualità. “All’inizio il nostro giro di affari era locale, pastifici, gastronomie. Un decennio dopo operavamo sull’intero territorio nazionale, oggi il 75% circa delle vendite è all’estero, possiamo dire con orgoglio che le macchine Italgi producono pasta in centodieci paesi del mondo”.
I messaggi di elogio arrivati da Hull in Georgia, Albuquerque in Nuovo Messico, Carnelian Bay in California, tutti negli Usa, da Are (Svezia), Oslo, Maribor (Slovenia), Surabaya (Indonesia), Madrid, Amburgo, Capetown (Sudafrica) e, udite udite, Msasa nello Zimbabwe, fanno bella mostra di loro in sede. Per soddisfare la marea di ordini ogni giorno della settimana entrano nello stabilimento di Carasco 40 persone. “La gran parte nate e abitanti in loco. Siamo convinti che l’avere operai, impiegati e dirigenti provenienti dalla stessa zona aumenti la coesione del gruppo”. Ed è un bell’aiuto all’economia ligure. Con la prospettiva, mirabolante in questo periodo, di allargarsi ancora.
“La tendenza è positiva, i due anni difficili che ci siamo lasciati alle spalle non ci hanno fatto arretrare. Siamo stati chiusi una sola settimana nel primo lockdown. Abbiamo mantenuto i livelli raggiunti prima della pandemia e ora siamo pronti per un altro balzo in avanti”. I presupposti ci sono tutti. “Il nostro segreto è semplice: continuare a inventare. Il reparto di ricerca e sviluppo ha sempre giocato un ruolo centrale nella vita dell’azienda. Migliorare le nostre macchine esistenti con nuovi materiali e tecnologie o progettarne di nuove è il nostro lavoro quotidiano. Il nostro scopo è utilizzare la tecnologia per consentire a chiunque, dovunque nel mondo, di produrre la miglior pasta nel modo più semplice. Ogni componente dei nostri prodotti, incluse le schede elettroniche ed il software, è progettato al nostro interno e quindi sotto il nostro diretto controllo”.
Nello stabilimento si disegna e si costruisce. Ogni particolare della macchina è costruito in loco, per i componenti ci si rivolge ad altre fabbriche e ditte del Levante. Quindi Italgi crea pure un indotto, altrettanto prezioso per la esausta economia regionale. “Lavoriamo solo con nomi e persone di assoluta affidabilità che abbiamo potuto conoscere di persona. In più per poter garantire i migliori standard qualitativi, le nostre macchine passano attraverso i seguenti controlli: selezione e controllo dei particolari da commercio; attento controllo di produzione in ogni fase dell’assemblaggio; accurata verifica qualitativa sul prodotto finito”. È tanto, c’è di più. “Nella progettazione delle nostre macchine poniamo la massima attenzione a ridurre la necessità di interventi di assistenza. Ma se i nostri clienti ne hanno bisogno, la nostra rete di vendita assicura un servizio veloce e competente. I distributori dei prodotti Italgi sono stati istruiti in azienda per riparare le nostre macchine nel modo migliore. Presso la nostra sede e presso i nostri uffici all’estero sono sempre disponibili le parti di ricambio più comuni”.
Nessun cliente viene lasciato indietro. “Sappiamo adeguarci a ogni tipo di richiesta. Se quel pastificio ci chiede una macchina che non faccia agnolotti tutti eguali ma che possa confezionare pacchetti con singoli esemplari uno diverso dall’altro la progettiamo. E vi assicuro che con l’allargarsi del giro di affari dobbiamo andare incontro a ogni evenienza. Per esempio recentemente ci hanno interpellato per un macchinario che stampi ravioli a forma di cozza in modo che quel tipo di pasta si sposi perfettamente con il sugo di pesce cucinato nei ristoranti del cliente”.
È chiaro che si aspettano da un momento all’altro di venire interrogati sulla pasta a forma di fungo o tartufo. Eppure ci deve essere un punto debole in questi Leonardo delle impastatrici. Possono fare tutto, ma cosa possono fare per restituire il sapore della cucina artigianale, dell’Handmade che scatena tsunami di nostalgia? Gabriele Marchetti ha la risposta bella e confezionata. “Non siamo mai entrati in competizione con l’artigiano. Perché siamo convinti – e ci accorgiamo che ogni giorno che passa l’idea acquista consensi – che nella pasta non conti la lavorazione ma i materiali. Se usi farina e ingredienti di qualità indiscussa che tu faccia il tortellino con la forchetta o con un sofisticato ‘aggeggio’ elettromeccanico cambia poco, forse niente”. Non contento rifila l’ultima stoccata agli ultraconservatori: “Abbiamo realizzato macchine che sfornano ravioli o cappelletti uno diverso dall’altro, che danno l’impressione di essere confezionati da una mano umana, per definizione incapace di creare migliaia di esemplari perfettamente identici”. Al consumatore viene detto che si tratta di pasta non fatta in casa ma l’inganno dell’occhio, forse lo scattare di reminiscenze ataviche, creano una illusione, un sapore che, diciamocelo, è alla base della haute cuisine.
Italgi meriterebbe di avere ‘l’Albertone nazionale’ come patrono. Il ‘Me Te Magno’ è il vero grido di battaglia delle legioni dei ghiottoni. Ed anche una delle nostre risorse inesauribili, lasciamo pure il petrolio alle lande desertiche e i gas alle invivibili tundre. Dal Monviso all’Etna se c’è una cosa che unisce lo Stivale è l’iconico spaghetto. Maccherone, continua a provocarci.