Home Aziende in vetrina Cà di Cinin, la florida azienda agricola della famiglia Nicolini, sulle colline di Cavi di Lavagna

Cà di Cinin, la florida azienda agricola della famiglia Nicolini, sulle colline di Cavi di Lavagna

da Alberto Bruzzone

di DANILO SANGUINETI

Terrazzamenti di verde cangiante sostenuti da una imbracatura costituita da pietre sistemate meticolosamente grazie a una sapienza che ai profani appare sconfinante nella stregoneria: la collina ligure è un patrimonio dell’umanità perché costituita con secoli, anzi millenni di duro lavoro. Un patrimonio che non si preserva sua sponte, che va amato prima che protetto. Ed è processo sempre più arduo, sempre più isolato in un mondo che guarda altrove, affetto da una presbiopia che produrrà disastri immani se non ci emendiamo.

Di Caprio proprio in questi giorni dagli schermi ci invita a ‘don’t look up’, a non alzare la testa. Invece fatelo, se siete sulla litoranea Sestri-Cavi, potrete scorgere se avete le diottrie necessarie le piane che ospitano l’azienda agricola Cà di Cinin, ed anche se non avete la vista buona potrete rendervi conto di quanta bellezza si inerpichi lungo il vallone che sovrasta Cavi Vecchia, tra le Rocche di Sant’Anna e il centro di Lavagna. Una location che farebbe gola a molti edificatori senza scrupoli e che per fortuna è blindata da norme per una volta realmente inattaccabili. A rafforzamento dei vincoli ci sono le sentinelle, i proprietari delle rare case che formano le frazioni ‘sospese’ Barassi in primis e Cerreto, parte della parte, che temerariamente si suddivide in Cerreto bassa e Cerreto alta.

Nel punto vicino alla sommità inizia il regno di Francesca Nicolini, riservata signora di Cà di Cinin che per lei è casa e lavoro, solo piacere perché il suo dovere, per quanto faticoso, è stemperato dall’amore per la sua terra e dall’orgoglio per l’impresa intrapresa. Il retaggio familiare è il propellente che conferisce inesauribile energia al suo fare. “E c’è veramente tanto da fare. La nostra azienda è formata da un vigneto, un frutteto e un oliveto che chiedono una cura costante dodici mesi su dodici, per parecchie ore al giorno”.

Ciascuna delle tre sezioni richiederebbe infatti l’opera di decine di lavoranti, invece qui sono in tre, Francesca, 36 anni e una costituzione senza dubbio d’acciaio che da un decennio ha rilevato i genitori nella conduzione. “Solo perché mi occupo della parte burocratica, mio padre e mia madre mi hanno lasciato volentieri questa simpatica incombenza (sorride, ndr), nella pratica siamo noi tre che mandiamo avanti la baracca, in perfetta intesa”.

Una ‘baracca’ che ha risultati e aspetto di villa… Cà dei Cinin si è ritagliata una parte importante tra le ditte riunite sotto l’egida della Cooperativa Agricola Lavagnina, i suoi prodotti sono giustamente rinomati. “Ce la mettiamo tutta. In questi dieci anni non sono sempre state rose e fiori, anche in senso letterale. Abbiamo dovuto fare i conti con i mutamenti climatici, poi con le crisi economiche e infine con questa pandemia che è arrivata sommando queste a quelli. Abbiamo tenuto il passo forse aiutati da un’esperienza che va oltre la mia e quella dei miei genitori. I Nicolini che a Cerreto vivono e lavorano sono giunti alla quarta generazione. Amiamo e conosciamo nel profondo la nostra terra”.

Lo stesso nome Cà dei Cinin è lì a testimoniarlo: “In dialetto Cinin è il diminutivo affibbiato al cognome Nicolini, originario proprio di queste parti. Casa e bottega dunque. Sono cresciuta qui, ho sempre saputo che mi sarei presa cura di questi alberi, questi prati”. Una missione di lunga durata. “Certo bisogna adattarsi ai tempi e alle condizioni che cambiano. Per esempio nelle ultime stagioni abbiamo deciso di vendere l’uva delle vigne, di portarla sulle tavole dei consumatori, invece di farne vino. Nel frutteto ci siamo concentrati sulle albicocche, in modo da averne in quantità soddisfacente e di qualità impeccabile”.

Per l’oliveto invece: “Un periodo complicato. La recente stagione ha prodotto un raccolto che definirei scarso. Purtroppo di fronte alle anomalie del meteo c’è poco da fare”. In un periodo come questo oltretutto. “Per quanto riguarda le limitazioni dovute alla pandemia in pratica non ce ne siamo neppure accorti. Potevamo procedere come se niente stesse accadendo, operando solo tra contatti stretti e portando i raccolti ai grossisti e ai clienti senza interagire in alcun modo con la clientela. Gli avvenimenti, il dibattito sulla qualità di ciò che si mangia, sugli inevitabili cambiamenti da fare al nostro stile di vita in un certo senso ci hanno favorito. Le persone stanno molto più attente, i discorsi sull’economia sostenibile, sulle operazioni e sui prodotti a ‘chilometro zero’ incontrano un innegabile favore”.

Il cerchio quadra perché Francesca Nicolini oltre che agricoltrice rivela di essere “naturopata, un operatore ‘di base’ del benessere olistico secondo natura”. Se fa una scelta, la fa fino in fondo. Credere in ciò che si fa, fa bene pure all’economia. Il giro di affari cresce, il bilancio quanto meno tiene.

Anche se qualcosa che fa storcere il naso alla gentile Francesca c’è. “Un po’ più di considerazione dai ‘piani alti’ non guasterebbe. Ci si riempie la bocca con gli aiuti agli imprenditori under 40, si discute su come aiutare i ‘giovani adulti’ a creare le loro proprie aziende ma poi nel concreto, posso dire per mia diretta esperienza, che poco o niente accade. Io non voglio ‘sdraiarmi’ sugli aiuti di stato, non chiedo sussidi a fondo perduto, gradirei poter lavorare senza dovermi districare giorno dopo giorno tra regolamenti bizantini, adempimenti dettati da burocrati spesso ottusi. Insomma discutere con uno stato imprenditore virtuoso che premia chi si dà da fare”. Un refrain che percorrendo la Liguria si può ascoltare ovunque, in ogni angolo, suonato da ogni ‘strumento’ che non abbia già raggiunto l’età della pensione. La campagna ligure è meravigliosa, abbiamo diversi angoli di paradiso che meriterebbero la massima considerazione e che invece sono sconvolti dalla frana più insidiosa, meno arrestabile, quella delle scartoffie.

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