di ANTONIO GOZZI
Stanno succedendo cose importanti all’interno della Lega. Si è aperto il dibattito sulla collocazione del partito all’interno del Parlamento europeo e in particolare se sia il caso di restare nel raggruppamento dei sovranisti estremisti di Id, cioè nel girone degli appestati con cui nessuno vuole avere a che fare e perciò privi di alcuna rilevanza politica, o se non sia invece molto più intelligente cercare di uscire dall’irrilevanza e guardare verso il PPE.
La questione non ha soltanto significato internazionale ma è importantissima anche sul piano interno perché è evidente che una Lega estremista nel suo antieuropeismo ha scarse possibilità di giocare un vero ruolo politico e di governo in Italia, come ha dimostrato la morte rapida del governo giallo-verde.
Chi ha sollevato la questione con la forza ma anche con la pacatezza che lo contraddistingue è stato Giancarlo Giorgetti, già sottosegretario alla Presidenza del Governo Conte 1 e oggi Vice-Segretario e Responsabile Esteri del Partito, in pratica il numero due della Lega.
Il ragionamento fatto da Giorgetti nelle ultime settimane suona più o meno così: per molto tempo la Lega è stata contro l’Europa, ma l’Europa esiste e specie in questo momento determina e determinerà i destini dei singoli Stati, bisogna esserne consapevoli e realisti nel riconoscerlo; l’Europa significa il PPE e il PPE significa la CDU tedesca e quindi la Merkel e il suo successore, con i quali si deve parlare per cercare di riconquistare un peso e una rilevanza che oggi la Lega non ha né a Bruxelles né a Roma.
Discorso importante per un partito che, nelle intenzioni di Giorgetti, deve giocare a pieno il suo peso elettorale (è ancora la forza politica più votata). Ma anche partita difficile, perché la Lega ha al suo interno frange di estremisti sovranisti alla Bagnai e alla Borghi, euroscettici per antonomasia, sostenitori dell’uscita dell’Italia dall’euro, che contrastano la traiettoria moderata disegnata da Giorgetti.
Discorso importante e partita difficile che crea grande dibattito all’interno della Lega e del suo gruppo al Parlamento europeo e prese di posizione significative come quella del ligure e avetano Campomenosi, capogruppo, che ha rimesso il suo mandato nelle mani di Salvini.
Ho conosciuto Giancarlo Giorgetti a Palazzo Chigi due anni fa quando era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: andai a ringraziarlo perché da responsabile dello sport italiano, senza conoscere né me né l’Entella, era stato l’unico politico che, dopo aver letto le carte, disse che quello che era stato fatto all’Entella dalla FIGC e dalla Lega di B non ottemperando a una sentenza del Collegio di Garanzia del Coni era uno scandalo.
Trovai e conobbi un uomo moderato che mi ricordò, e glielo dissi, nella sua visione anche un po’ malinconica del potere, la tradizione giansenista lombarda fatta di rigore, concretezza e spirito riformatore. La grande preoccupazione che mi espresse in quell’incontro fu che le classi dirigenti del Paese, comprese quelle della Lega, non fossero all’altezza della sfida che stava dinanzi all’Italia per riprendere il sentiero della crescita e gestire l’immenso debito pubblico. La crisi del Covid 19 era ancora sconosciuta e lontana; immaginate oggi come tali preoccupazioni si siano ampliate.
Rimasi colpito da quell’incontro perché trovai in uno dei luoghi più importanti e potenti del Paese un uomo tutt’altro che esaltato dal potere ma cosciente e sofferente per la responsabilità e l’importanza del ruolo ricoperto. Ne nacque una simpatia reciproca che ci esprimemmo in incontri successivi e che lo porterà prossimamente (situazione sanitaria permettendo) ospite di Wylab e ‘Piazza Levante’ a partecipare al ciclo ‘Incontri con i protagonisti’.
Sarà interessante sentirlo sull’idea della collocazione internazionale della Lega e in particolare sul ruolo da giocare in Europa. Giorgetti ovviamente non pensa che l’Europa vada bene così com’è, con la sua burocrazia guardiana, il suo approccio per troppo tempo rigorista e ragionieristico solo recentemente cambiato a causa della pandemia, la sua lontananza dai popoli e dai loro bisogni. Però è convinto che la battaglia per cambiare l’Europa vada condotta all’interno di un contesto comunitario oramai imprescindibile e irreversibile.
L’affermarsi della sua impostazione darebbe un enorme contributo alla democrazia italiana come democrazia di un’alternanza possibile. Il Governo giallo-rosso modesto nell’impostazione e nella prospettiva e innaturale nell’alleanza tra M5S e PD, che Di Battista definisce ‘la Morte Nera’, è nato e sopravvive su una conventio ad escludendum nei confronti di una Lega dagli accenti estremisti e antieuropeista rappresentata dalle intemperanze di Salvini e dal suo armamentario politico e propagandistico, che sembra francamente esaurito e comunque incapace di trattenere il grande consenso raccolto negli ultimi anni.
Una Lega che tornasse a essere spendibile come grande forza popolare, liberale, federalista, democratica (perché continuare a tollerare la simpatia dei movimenti neofascisti più estremi?) consentirebbe allo schieramento di centro destra di tornare ad essere attrattivo e potenzialmente vincente e rilancerebbe un’ipotesi di sistema maggioritario che proprio la parabola estremista di Salvini ha reso meno di moda promuovendo risorgenti tendenze proporzionalistiche.
A me sembra che gli italiani si siano abituati invece a sapere chi ha vinto fin dalla sera delle elezioni. Già si eleggono così i Sindaci e i Presidenti di Regione. La democrazia per essere rispettata e apprezzata dal popolo deve essere una democrazia governante e la possibilità di alternanza degli schieramenti esalta e completa questo concetto.
La comune condivisione della prospettiva europea rinforza la democrazia dell’alternanza e i suoi protagonisti. Per questo la battaglia di Giorgetti è così importante.